Se qualcuno mi chiedesse di scegliere il paragrafo che preferisco da “Le città invisibili” di I.Calvino, non saprei farlo.
Non sono innamorata di questo libro. Di più!
E’ parte di quelli che chiamo “Sacri” e che tengo distinti da tutti gli altri.
Di tanto in tanto torno a leggerne qualche capitolo e sempre mi pare di trovarvi qualcosa di nuovo. Mi segue nei cambiamenti e in base ad essi, si trasforma. Il gioco degli specchi.
Un viaggio dentro e fuori che ha una mira infallibile: mi arriva sempre diretto al centro.
Mi calma, mi culla, mi fa sognare, sperare, sorridere, arrabbiare e piangere. Non priva ma dona.
M’insegna, mi svela, mi sveglia e mi rimette sui miei passi quando sbando.
Ritrovarlo in questo presente non credo sia un caso. Mi ha regalato energia e tanta voglia di partire.
Raissa
(le città nascoste)
Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: -Gioia mia, lasciami intingere!- a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata di un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice d’averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: “Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicchè in ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere”.